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La teologia del cinghiale (Gesuino Némus)

Némus è un bravissimo funambolo senza rete protettiva (16-09-2016)
“Dove non può il sostantivo, l’aggettivo ha effetti dirompenti”. Basterebbe già questa perla di saggezza per consigliare la lettura del romanzo di Gesuino Némus, che in tutta Italia sta facendo incetta di premi letterari. Basterebbe, ma non basta, perché nel libro c’è, ovviamente, molto ma molto di più.

“La teologia del cinghiale” è, infatti, un’opera prima dirompente, priva di scorciatoie o soluzioni prudenti ed a buon mercato, perché Némus è uno scrittore esordiente sì, ma colto e generoso. Che ha deciso, come solo un funambolo senza rete protettiva sa fare, di dare al suo pubblico una prima da naso all’insù, con un’esibizione degna della più spontanea e liberatoria standing ovation.

Non contento di fare le piroette tra due lingue (il sardo, prima scelta, e l’italiano come lingua straniera) l’autore ha scelto la via del giallo, ma senza accontentarsi di imbastire la solita trama con risolutorio finale ad effetto. Il suo intento è, infatti, quello di parlare dell’amicizia nel modo più vero, crudo ed estremo possibile.

Per farlo, si affida a personaggi che anziché abbandonarsi ad esercizi di erudizione si mettono ad insegnare “come si insegna veramente: senza voler insegnare”.

Gli argomenti sono tosti (Socrate ed Heidegger, ma anche i Vangeli e Lutero, e, come se non bastasse, il concetto spazio-tempo, Epicuro e persino il coro di Epidauro) ma, tenuti ben lontani dalle aule e dagli scritti ufficiali, spuntano in modo discreto ed ugualmente efficace tra uno sguardo ed un silenzio, tra un’imprecazione e una “bellissima malattia” e finanche nel pensiero stranito per un tale Bob che, non si sa come, canta “Blowin in the wind” pur senza avere ancora apprezzato lo spietato maestrale del paesino di Telévras. A cosa serve tutto questo? Non certamente ad intrattenersi nel Peripato, né a sfoggiare dotte citazioni. Lo scopo, ben più naturale e al tempo stesso drammatico, è quello di scoprire la verità. Per farlo sarà necessario affidarsi alle persone semplici perché, ci ricorda Némus, sono quelle più vicine alla verità e, se necessario, andare persino a scavare tra la follia perché “la verità è nella follia”.

Malaparte- Morte come me (Monaldi&Sorti)

Giallo avvincente con utili collegamenti alla storia. Tutto ovviamente in salsa caprese

(16-09-2016)
Anche nell’estate del 1939 aristocratici, politici e pezzi grossi di mezzo mondo si ritrovano a Capri, pronti ad irrorare con fiumi di chablis e champagne le serate più mondane del posto più mondano d’Europa.

Arrivano a bordo di idrovolanti spumeggianti e barche inavvicinabili, pronti a condividere con i loro pari qui residenti notti indimenticabili, zeppe di vizi, lustrini ed eccessi, mentre l’orchestra suona dal vivo musica americana (proibita, è vero, ma tanto, tanto cool come si direbbe adesso).

Frequentatore poco dispiaciuto di questo bel mondo è Curzio Malaparte, al secolo Kurt Erich Suckert, lo scrittore e giornalista che alla fama mondiale sommò un rapporto controverso con Mussolini e quel fascismo che, pur di compiacere la Germania nazista, di lì a qualche anno avrebbe trascinato il nostro Paese nel baratro di una guerra segnata anche dall’orrore delle persecuzioni razziali.

Crede di essere intoccabile, Malaparte, perché dopo vari dissidi pensa di avere in tasca un patto di non belligeranza con Mussolini, perché conosce personalmente Ciano e sua moglie Edda e soprattutto perché può vantare ad ogni latitudine le amicizie che contano. E invece le cose si mettono male per lui, perché proprio nel bel mezzo di una delle tante feste, la prima, quella che apre il libro (come “Guerra e pace”?) apprende da due sgherri della polizia segreta di essere indagato per la morte di Pamela Reynolds, la giovane poetessa morta quattro anni prima a Capri, dopo essere precipitata da una scogliera.

La storia potrebbe prendere la via naturale della fuga, se non fosse che Malaparte si rifiuta di scappare all’estero e dalla macchia si adopera per capire chi sta dietro questa vicenda e, soprattutto, se e in che modo può scrollarsi di dosso questa pesante accusa.

Ed è proprio in questa inedita veste di investigatore-segreto-latitante che egli, aperto idealmente un forziere segreto (nel libro chiamato senza mezzi termini cloaca), indaga sulla storia di Capri, isola delle feste e del jet set sì, ma anche isola di intellettuali, statisti e politici e di incontri ed intrighi più o meno segreti, puntualmente annotati e riferiti da spie anch’esse più o meno segrete.

In questo meticoloso e al tempo stesso divertente intreccio tra finzione e storia, con il giallo che corre di pari passo con le vicende realmente accadute, i due autori del romanzo sono abilissimi nel puntare il faro su quello che Capri era effettivamente in quel periodo: il crocevia del mondo che contava e che poteva sopravvivere solo a patto di non varcare i confini dell’Eden. Un mondo che per assolvere a ben altri compiti aveva la necessità di apparire, sempre e comunque, in modo del tutto diverso dalla realtà.

E’ nell’Eden caprese, infatti, che emissari della Fabian Society frequentano Axel Munthe, mentre figure più o meno interessate ed ossequianti si intrattengono, tra gli altri, con il principe di Sirignano - il celeberrimo “Pupetto” che davvero si vantò in vita di essere parente di San Gennaro - ma anche con Edwin Cerio, Mona Williams, Carmen Capasso (la veggente di Mussolini), Eddie Von Bismarck e Chantecler, il gioielliere, in una spasimante attesa per la testa coronata di turno. Ed è qui che Malaparte si trova tra le mani, quasi in modo del tutto inconsapevole, la scacchiera usata qualche decennio prima nell’epico scontro tra Lenin e Bogdanov, svoltosi davvero nell’isola sotto lo sguardo interessato di Gorkij.

Nel romanzo di Monaldi e Sorti, ciascuno dei veri personaggi rievocati ha, con le sue caratteristiche, il compito di sorreggere ed arricchire la trama di quello che, viceversa, sarebbe stato un mero racconto poliziesco ed in questo sta la forza e l’originalità del racconto. Che è la storia di un luogo, ma anche di alcune persone all’apparenza indenni dai quotidiani impegni e fastidi. Tutti allegri e spensierati, dunque, ma di lì a poco soggetti, come tutti gli uomini, forse alla guerra e, comunque, alla morte.

Perché, anche se in una veste del tutta inconsueta e più affascinante del solito, è la signora con la falce la vera protagonista del romanzo.

Aspettando Bojangles (Bourdeaut Olivier)

Una storia oltre gli schemi e le convenzioni. Che fa sorridere e riflettere. (16-09-2016)
Nemmeno un briciolo della vita della famiglia che anima questo romanzo ha a che fare con regole, convenzioni e doveri, visto che “Aspettando Bojangles”, opera di esordio di Olivier Bourdeaut, supera di gran lunga il comune desiderio di farla finita, almeno per una volta, con schemi e consuetudini. Perché qui non si tratta di un momento, di un attimo, ma di una vita intera. Il trio di questa storia (lui, lei e il ragazzo) vivono, infatti, tutta la loro esistenza facendo cose che nessuno stenterebbe a definire strampalate. Dopo essersi sposati in modo certamente anomalo ed avere intrapreso un percorso pieno di incognite, i due si danno del voi, tengono in casa una gru (non quella del meccano, ma proprio l’uccello esotico e non impagliato, ma vivo e vegeto) e, sulle note del tormentone “Mr. Bojangles” di Nina Simone, si dedicano con cura a tutte quelle parole, opere ed omissioni capaci, secondo il loro modo di vedere, di scacciare tristezza e grattacapi. Così, pur abitando per lo più in un normale appartamento, si trasferiscono in blocco in un mondo parallelo rispetto a quello reale, nel quale lui chiama lei ogni giorno con un nome diverso e, ritirato il ragazzo da una scuola del tutto incompatibile con la loro idea di apprendimento, passano il tempo a ricevere, con il loro amico senatore della Repubblica francese, uno stuolo indefinito ed indefinibile di persone, tutte disposte a fare, con loro, un “permanente marameo alla realtà”. Nel frattempo, tutta la posta recapitata dal postino viene lasciata a marcire intonsa in un angolo della casa, come fosse un'installazione di arte moderna, rea di rappresentare un evidente legame con la vita esterna. La vita reale, quella delle persone comuni. Tutto potrebbe continuare così, se non fosse che in questo “circo” quotidiano niente è come sembra e la tristezza continua ad essere il sentimento nascosto in modo scrupoloso sotto il tappeto di una quotidiana ed apparentemente inattaccabile euforia. Ed è proprio quel mondo che “gira di suo” respinto ogni giorno a suon di bugie e "bugie al contrario" a ripresentarsi, in tutta la sua fulgida concretezza, per indossare le vesti del protagonista e smettere i panni dell’eroe bistrattato, in quello che il ragazzo narrante chiama con insistenza il “dopo”. L’impresa non sarà facile, perché la storia di queste tre persone non comuni è sì una storia ammantata di una “dolce marginalità”, ma è prima di tutto una storia di amore e rispetto, capace, così armata, di far fronte a qualsiasi evidenza dei fatti.

Colosseo vendesi - Una storia incredibile ma non troppo (Sorgi Marcello)

Sembrava una pazzia ed invece era una delle possibili opzioni (16-09-2016)
Mi serviva un libro tascabile, da portare con me sul treno dei pendolari e fu così che l’altra mattina ho portato con me “Colosseo vendesi” di Marcello Sorgi, la cui breve ma avvincente storia ruota attorno all’anfiteatro romano più famoso del mondo ed alla possibilità di risanare in parte, con la sua vendita, il nostro cosmico debito pubblico. Dietro i protagonisti – il Colosseo stesso, un economista, la redazione al completo di una testata ormai in avanzato stato di decadenza, il Capo del Governo e, manco a dirlo, uno sceicco in cerca di nuove emozioni – si muovono molti personaggi. Alcuni di questi sono veramente esistiti (Andreotti, per esempio, o il ministro che a sua insaputa aveva acquistato una casa vista-Colosseo o, ancora, quello che, davvero, nel 2004 propose di vendere l’anfiteatro). Gli altri (il Capo del Governo dei Ragazzi, il Segretario del Partito del No e il Successore) vengono fuori dalla penna dell’autore, sempre ben ispirato dall’attualità e, quindi, dal pane quotidiano del suo lavoro di giornalista. Tra loro, Sorgi trova, senza citarlo espressamente, anche il tempo per regalare a sè stesso (ed a noi) un cameo importante ed affettuoso a Federico Caffè, economista “misteriosamente scomparso a metà degli anni ottanta in qualcosa che poteva essere un sequestro, un attentato o semplicemente il desiderio di ritirarsi dal mondo” e certamente uno dei più lucidi e rigorosi studiosi del nostro Paese. Per tornare alla storia, va detto che per una serie di fortuite vicende, una proposta lanciata da un giornale in declino e, per questo, destinata nottetempo all’oblio, diventa, in poche ore, complici questa volta le testate che contano, quell’opzione talmente assurda da sembrare possibile. L’innesco parte da un ignaro economista ben noto a nessuno e provoca una reazione a catena, nella quale tutti i personaggi descritti cominciano a fare (o a non fare) simultaneamente il proprio passo, come in quei giochini di animazione per i bambini, con pupazzi e forme colorate che si muovono all’unisono, destando la meraviglia del loro piccolo spettatore. E dal momento che come nei giochini, anche la vita reale presuppone che ciascuno, noblesse oblige, faccia la sua parte, ecco che in “Colosseo vendesi”, molti personaggi pubblici vengono improvvisamente sferzati da una proposta senza precedenti, che li obbligherà, non senza esitazioni, ad assumere una posizione netta, ma pur sempre rivedibile. Tutti cominciano, per dirla tutta, a girare attorno al Colosseo, pensando di avere in tasca l’unica soluzione possibile. Che, nella realtà, si rivela solo una delle possibili opzioni. L’intera operazione mette a nudo i veri sentimenti nutriti nei confronti della storia e delle sue testimonianze e, tramite i protagonisti, ripropone il sempre più ricorrente quesito: è più importante l’intangibilità di un monumento unico al mondo o la salvezza di un Paese in rovina come tanti altri? Il dibattito è aperto. L’anfiteatro no, perché c’è un’assemblea sindacale in corso.

Guerra e pace (Lev Nikolaevic Tolstoj)

Se tutto scorre, passa certo da qui (31-01-2016)
Non è detto che si riesca a leggerlo al primo tentativo. Il fitto tourbillon di nomi e titoli, così come il rapido susseguirsi degli immancabili patronimici russi e le mezze pagine in francese possono scoraggiare (ed hanno scoraggiato) molti lettori già preoccupati dalla mole dell'opera. Così è stato con me. Ma se si passa indenni dalle prime pagine, ecco che davanti al lettore si spiega un affresco fantastico, complesso e al tempo stesso coinvolgente. Come quelli che siamo abituati a vedere negli ampi saloni dei nostri splendidi musei italiani. Con alcune figure centrali - Pierre e Andrei, certo, ma anche il generale Kutuzov, il SUO popolo russo e poi, ovviamente, Natasha Rostov - e, sullo sfondo, la storia, Borodino, l'incendio e la disfatta non disturbata della Grande Armee. Tutto "utilizzato" da uno dei più insigni conoscitori dell'animo umano (con lui, solo il connazionale Dostoevskij) per spiegare perchè alcuni avvenimenti sono andati in un modo e non nell'altro, con gli uomini (anche i più importanti) costretti a fare solo da spettatori o, al massimo, da comprimari. Non dico alcunchè di nuovo se ricordo (anche a me) che dopo "Guerra e pace" - così come con la Commedia di Dante e Don Chisciotte - la letteratura non è stata più la stessa. Quindi, se tutto scorre, passa certo da qui.

I Promessi sposi. Ediz. integrale (Manzoni Alessandro)

Non è (e non potrebbe essere) una recensione (16-09-2016)
Ripeto, a scanso di equivoci, quanto scrivo nel titolo di questo mio breve intervento da lettore: "Non è e non potrebbe essere una recensione". Di fronte al capolavoro di Manzoni non si può, a mio parere, essere talmente incoscienti da avventurarsi, del tutto privi come me degli attrezzi necessari, in un'impresa del genere, tanto temeraria quanto inutile. Ma poichè questa edizione della Newton Compton è davvero ben fatta, con tanto di premessa e note (sempre utili), credo sia giusto metterla in bell'evidenza. Il taglio sembra essere decisamente più adatto ai giovani, ma la speranza è che anche quelli, come me, che hanno letto la prima volta il libro quando la scuola ci imponeva di farlo, tornino a farlo solo perchè ne hanno voglia. Credetemi, senza riassunti, spiegazioni, temi e interrogazioni tra i piedi è tutta un'altra storia.


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